Voci di notte per orchestra – Prima esecuzione in apertura della stagione del Maggio Musicale Fiorentino, aprile 2006, direttore Zubin Metha

 Voci di notte è un canto della notte e alla notte. La notte è per sua natura rarefatta, colma di assenza, di sonno. Ma la notte è anche il momento del sogno, che lenisce l’assenza evocando ricordi, attese, speranze. Di notte il mondo è popolato da persone e animali abituati al buio. Persone particolari, costrette o inclini alla veglia. Barboni o immigrati senza casa – che possono tutt’al più sonnecchiare – sbandati, operai che fanno i turni, piloti di aerei e di treni, taxisti, medici, ammalati, panettieri, scrittori, poeti, navigatori su internet, nottambuli vari. Ci sono anche animali meravigliosi e lunari: gatti randagi che vagano, gatti e cani domestici che respirano insieme agli umani. Il brulichio di una natura in attesa può essere interrotto da intense sensazioni e da fatti anche violenti, che pure ci giungono attutiti, come da lontano.

Notturno scosso dal rimorso per chi è solo, in prigione, in mezzo a una strada, sotto le bombe o ricattato dalla malavita, ma la cui memoria affidata alle tenebre custodisce una sapienza collettiva capace di bagliori sereni. Accettando e riconoscendo l’ombra, l’uomo può ripensare un’etica credibile e condivisa. Notte polifonica, il cui fremito nasce da un contrappunto senza il quale la voce, sola, perderebbe ogni senso. E poi la notte è la regina dell’amore, di quello sensuale e frenetico come di quello che unisce due persone nello stesso letto, perdute nelle proprie fantasie eppure unite dal tepore di un progetto condiviso. Eros bizzarro e capriccioso ma insieme forte ed eterno, come nel Sogno shakespeariano. L’individuo si perde e si potenzia nell’altro, negli altri, immettendosi in un ciclo senza fine.