Terra Comune per coro e orchestra

Prima esecuzione per l’inaugurazione della grande sala del Nuovo Auditorium costruito da Renzo Piano, dicembre 2002 , direttore Myun Wung Chung

Che le mie note inaugurassero una sala nata per ascoltare musica era premessa emozionale che sapevo non poter mettere tra parentesi, né considerare marginale rispetto al mio comporre. Ho perciò chiesto allo scrittore e poeta Marcoaldi di scrivere un testo che interpretasse il mio sentire. Da anni, lavorando insieme, riflettiamo sulla necessità di rivalutare la memoria come terreno sul quale cercare, faticosamente, di rifondare una lingua comune. La memoria storica, che ogni civiltà ha il diritto e il dovere di conservare. La memoria artistica, la cui antica sapienza va custodita attraverso un continuo rinnovamento.

Quale spazio migliore, per custodire e rinnovare la memoria, di una “fabbrica di musica”, così come l’ha concepita Piano, dove le culture si possano incontrare in una terra comune, concretamente attiva? Perché questo avvenga, anche il linguaggio deve piegarsi all’umiltà della ricerca, vale a dire alla sperimentazione di ciò che può aggiungere senza distruggere. Non utopia, ma luogo di incontro tra vita e pensiero, tra arte e politica. Un luogo dove si cerchino aspetti di coesione fra le genti e nel quale la musica, grazie al fondersi e al confondersi delle memorie, possa mantenere in vita un linguaggio che non sia a priori radicalmente solipsistico, ma neppure conservatore e banalmente contaminato dalla citazione.

E’ stato per me quindi naturale attingere dalla tradizione colta e popolare occidentale, ma anche dall’antico patrimonio sonoro africano, che amo particolarmente e da sempre studio e ascolto. L’Africa è paese geograficamente confinante con l’Italia, diverso e simile quanto basta, pieno di idee da confrontare e di figli da condividere. Il testo di Marcoaldi si è quindi modellato su un pensiero compositivo intessuto di antichi canti popolari siculi, la cui matrice mediterranea (che tradisce straordinarie contaminazioni greche), ha attirato a sé, per me in modo quasi inevitabile, forme ritmiche e sonore africane.