Colonna sonora di Gabrielle, film di Patrice Chereau. Intervista di Stefano Jacini, Festival del Cinema di Venezia, 2005

Il soggetto è preso da Il ritorno di Conrad, racconto poco conradiano solo in apparenza perché di ombre e di tenebre del­l’ani­mo umano comunque si tratta: un matrimonio salta per la fuga della moglie e si ricompone per un suo ripensamento, con però un colpo di scena finale. Al compositore è ovvio chiedere come è stato il lavoro col regista.

Chereau era già sintonizzato sui miei modi espressivi, quando mi ha chiesto ( e io ne sono rimasto estremamente lusingato seguendo con passione il suo lavoro, anche in campo operistico, da sempre, comprese le sue strabilianti collaborazioni con Boulez) di scrivere le musiche per il suo film. Abbiamo ascoltato molti miei brani per individuare cosa poteva funzionare per lui, abbiamo scelto anche pezzi esistenti con l’in­ten­zione di tagliarli, modificarli. Poi ho scritto cose nuove, ma anche queste avevano come punto di partenza la sua adesione preventiva al mio modo di comporre.

Il lavoro di approccio si è svolto sulla sceneggiatura del film?
Sì, dopo di che abbiamo fatto nuove verifiche sulle immagini. Come sempre, o almeno dalla mia ridotta esperienza cinematografica, per un film si approntano materiali in abbondanza, dopo di che si scremano, si selezionano.

In che modo ha fatto ascoltare a Chereau i brani composti ad hoc?
O suonanti sulla tastiera o con strumenti ad arco, c’è per esempio un pezzo per violino solista e archi. Oppure ci siamo affidati a pezzi preesistenti, in modo che avesse un punto di riferimento sonoro per le sue richieste: vorrei che questo si sviluppasse­ in un certo modo, che chiudesse in un certo modo…

Fabio Vacchi e Patrice Cherau durante le riprese del film

Con durate ferree.
Assolutamente. Per Gabrielle non è stato come per Il mestiere delle armi dove Olmi ha fatto il montaggio del film sulla mia musica. Chereau ha asservito sia il montaggio sia le musiche a un ritmo drammaturgico che aveva in testa. Per esempio mi ha chiesto una canzone russa da far cantare a una cantante durante una festa in casa dei protagonisti. Desiderava un particolare timbro di voce, così ho coinvolto Raina Kabaivanska. Mi sono offerto di dare a Chereau tutte le canzoni russe che desiderava, invece ha voluto che la scrivessi io, sicché ho composto una finta canzone russa su un testo di Puskin. Me l’ha suggerito Raina, s’intola Noc’e.

E’ curiosa questa richiesta di distacco dalla realtà, di creare un falso.
E’ bilanciata dal fatto che la canzone non è stata registrata a parte e poi inserita in playback, quanto si vede e si sente a quel punto del film è in presa diretta, con Raina che suona il pianoforte e canta. I movimenti della bocca e delle mani sono colti in quell’istante. La canzone è piaciuta molto a Chereau, al punto che mi ha chiesto di farne una versione orchestrale da inserire sui titoli di coda.

Con quale orchestra avete registrato?
Con la Verdi, diretta da Claire Gibault, e Pavel Vernikov violino solista. C’è anche un pezzo per violino solo scritto per il film, ma che non c’è nella colonna sonora. Compare invece nel cd della Sony come bonus track.

Rispetto al suo modo di comporre cosa rappresenta questa colonna sonora?
“Rappresenta solo uno degli aspetti della mia scrittura, quello più espressivo, direi, forse anche più legato alla tradizione. Mancano le punte di maggior sperimentalismo, che ritengo anch’esse parte integrante del mio linguaggio. La colonna sonora pone sotto una lente d’ingrandimento una dimensione specifica, che peraltro considero assai importante. Questo mi ha indotto a riflettere ulteriormente sul senso della comunicazione, poiché ciò che a me risulta più immediato, più comunicativo, viene recepito dal vasto pubblico cinematografico come alto, colto, complesso.