Morto Amos Oz. Fabio Vacchi: «La mia musica e le parole di Oz»

Il compositore ha lavorato a stretto contatto con lo scrittore: «Meritava il Nobel»

di HELMUT FAILONI – Corriere della Sera 28 dicembre 2018 

«Ma sì, certo, sapevo che stava male, ma non mi aspettavo certo che se ne sarebbe andato così… subito… Senza nemmeno vincere un Premio Nobel». La notizia della morte di Amos Oz ha colto il compositore Fabio Vacchi — che con lui ha lavorato a stretto contatto per due opere — come un secchio di acqua gelata tirato addosso a tradimento. «Per il suo essere contro ogni genere di fanatismo — continua il compositore —, il Nobel se lo meritava. Ma forse non glielo hanno dato proprio per questo: è un Premio che ha una forte connotazione politica e lui, al contrario, ha invece considerato sempre le ragioni sia del popolo israeliano e che di quello palestinese… Penso a libri come Una storia di amore e di tenebra o Giuda (editi entrambi da Feltrinelli, rispettivamente nel 2002 e nel 2014, ndr).

E aggiungo che il suo prozio, che portava lo stesso cognome, Klausner, scrisse un saggio in cui esaltava Cristo dal punto di vista ebraico. Aperture straordinarie, capisce?».

 

Maestro Vacchi, lei ha lavorato a stretto contatto con Amos Oz per due lavori in particolare, una versione de Lo stesso mare, andato in scena al Petruzzelli di Bari nel 2011 con le scene di Gae Aulenti, e D’un tratto nel folto del bosco, melologo su testo di Michele Serra, tratto dal libro Oz, eseguito a MiTo nel 2010 dai Sentieri Selvaggi di Carlo Boccadoro con Moni Ovadia voce recitante e poi a Parigi con la Paris Mozart Orchestra di Claire Gibault. Che rapporto aveva Oz con la musica?
«Lui amava la musica. Quando preparavamo Lo stesso mare, ci siamo trasferiti tutti a lavorare a Bogliasco, in Liguria. Vivevamo a stretto contatto. E alla sera si cenava tutti insieme. C’erano anche il musicologo francese Jean Jacques Nattiez e il violinista ucraino Pavel Vernikov. Ad un certo punto della serata la moglie di Oz, Nily, esperta di musica sefardita e con la quale era sposato da cinquant’anni, estraeva il flauto e suonava. Io annotavo le melodie che più mi piacevano e alcune le ho inserite nella partitura de Lo stesso mare. A Oz piaceva molto Riccardo Chailly come direttore d’orchestra. E un suo cruccio fu non poter presenziare alla prima esecuzione di un mio poema sinfonico, Der Walddämon, ispirato a D’un tratto nel folto del bosco, che mi fu commissionato nel 2015 dal Gewandhaus di Lipsia».
E come persona, come amico, com’era?
«Era felice di stare a contatto con l’umanità disagiata. Dovevate vederlo come si muoveva a Parigi in mezzo alle banlieu… La sua pietas, quel suo volere condividere i problemi degli altri, sono una cosa che salta fuori con forza dai suoi libri. Nel suo Una storia di amore e di tenebra per me lui è un Proust dei nostri giorni che racconta la storia della sua famiglia».
La madre di Oz si suicidò.
«Lui era riuscito a raggiungere una quiete interiore impressionante. Era un uomo senza inquietudini. I gemelli di sua figlia hanno studiato anche l’arabo. Questo per dire la sua apertura mentale straordinaria. Aveva un amore fuori dal comune per i bambini e gli animali. Per la vita, per l’amore fra le persone. Era contro ogni genere di fanatismo, che considerava il cancro dell’umanità. Al contrario, era per la tolleranza assoluta e il rispetto per il prossimo».
Come mai avete scelto «Lo stesso mare» per lavorare insieme?
«È un libro speciale. Vengono fuori con forza sia il suo legame con la tradizione letteraria, che il suo lato più sperimentale».
È, in sintesi, un incrocio fra prosa e poesia…
«Sì, e qui riesce a mettere in contatto, soprattutto per quanto riguarda i rapporti erotici e affettivi — come in Tolstoj — la profondità con la leggerezza».
Altri incontri importanti fra lei e Oz al di fuori della musica?
«Ci fu un’unica presentazione in Italia del suo Giuda. E fu a Milano, in Sinagoga. Mi chiese di presentarlo insieme. Lui ed io. Mi tremavano i polsi, ma ero anche felice: 1.200 posti a sedere e 300 in piedi, tutto esaurito. E sforammo l’orario. Non volava una mosca. Fu bellissimo».