Il processo creativo

si governa? ci si educa? viene da sé?

Anche per quanto riguarda la musicalità, così come per altre attitudini umane, esistono elementi innati – o quanto meno ereditati nel loro divenire e nella loro trasformazione – che possono essere più o meno sviluppati e direzionati. Predisposizione ed educazione interagiscono. Sono convinto che ogni manifestazione dell’uomo nasca tanto da circostanze casuali, quanto da “rinforzi” di alcune inclinazioni a scapito di altre, attraverso il potenziamento di interessi dovuto a spinte affettive e ambientali. Un intreccio di elementi accidentali e di scelte consapevoli determina l’atto creativo, nella sua interazione tra chi lo concepisce e chi, fruendone, lo rielabora e lo restituisce, in un ciclo ininterrotto. L’atto creativo, infatti, è collettivo. Non credo in un’ aldilà, ma in un’evoluzione grazie alla quale siamo in grado di trasmettere a chi viene dopo di noi qualche cosa che determina, nel suo divenire, l’unica eternità possibile. 

Certo, oggi sappiamo che l’esistenza della (e quindi anche sulla) terra avrà una scadenza e il fatto che il nostro percorso abbia un termine molto lontano, nulla toglie alla sua ineluttabilità. Ma finché esisterà vita su questo pianeta, trasmetteremo DNA ai figli biologici e valori, tecnologie, scoperte, arte, cultura alle generazioni successive. Per questo non ho mai creduto nelle teorie talebane di alcune avanguardie. L’arte è un bene collettivo, fuori dalla falsa illusione e dal non-valore del divismo e della genialità come grazia metafisica che concede a qualcuno un potere quasi sovrannaturale, comunque superiore a quello degli altri uomini. Tutti nasciamo, moriamo e siamo in balia del caso. Ciò che possiamo fare è cercare di rendere il più felici possibile noi stessi e gli altri esseri viventi (non solo gli uomini, naturalmente, ma anche gli animali). L’arte contribuisce ad arricchire interiormente chi la fa e chi, beneficiandone, concorre a tramandarla. Ecco perché sento sempre più urgente l’esigenza di trovare un equilibrio tra il rigore e la coscienza estetica che le avanguardie novecentesche ci hanno insegnato e una forza comunicativa che travalichi i concettualismi.

Il compositore non può usare codici arbitrari e soggettivi, per quanto elaborati e affascinanti, ma deve immettere la propria ricerca nel flusso fisiologico, storico, culturale della musica classica occidentale. La quale peraltro richiede – sia da parte di chi la produce, sia da parte di chi la ascolta – il desiderio di entrare in un mondo comunicativo tanto appagante quanto impegnativo. Ci vuole sforzo iniziale per avvicinarsi a una complessità che, se non è fine a se stessa ma funzionale alla propria natura, non può occhieggiare alle facili contaminazioni, alla banalizzazione, all’ipnosi. Non per sancire la superiorità di un genere, ma per non svanire, perdendo la propria identità profonda.