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“Quando il violino parla la lingua dei giorni nostri: applausi al Petruzzelli per Vacchi e D’Orazio” di Nicolò Bisia – Gazzetta di Bari, 2 dicembre 2016

L’ultima fatica di teatro musicale di Fabio Vacchi, Lo specchio magico è, in teoria, l’avvenimento di punta del 79° Maggio Musicale Fiorentino. Perché in teoria lo si dice poi. Prima infatti va detto che è una pagina senza mezze misure. I pregi si ravvisano in una serie di pagine corali e strumentali di eccellente fattura: una polifonia di linee e colori originale, frutto di un artigianato al pieno della maturazione.

I difetti consistono nell’inconsistenza del libretto di Aldo Nove, saggio di deteriore buonismo da supermercato. Opera «di strada», Lo specchio magico coinvolge il performer Moby Dick, il visual artist Cristiano Koreman e il rapper Millelemmi, che declama parte del testo su una base sonora estranea al rap, come annacquata nel suono dell’orchestra. Diretti da John Axelrod, coro e orchestra del Maggio offrono un saggio di altissima qualità esecutiva: una gioia ascoltarli. Ma perché questa «prima» è spettacolo di punta del festival fiorentino solo in teoria? Perché il teatro sembra non credervi. Non scrittura un cast del tutto adeguato e non mette gli artisti nelle condizioni di esprimersi al meglio. Proiettato su un tulle anziché su schermi, il lavoro pittorico di Moby Dick quasi non si vede. E soprattutto dello spettacolo viene programmata una recita sola. L’Opera di Firenze, si sa, versa in una pesante crisi finanziaria. Ma proprio perciò, non è meglio produrre anche solo una cosa, ma credervi fino in fondo? E non è meglio sfruttare al massimo le maestranze, di livello, anziché scritturare i Wiener e i Berliner Philharmoniker? Certo, ai loro concerti non mancherà il pubblico e molti gonfieranno il petto. Ma quale idea di cultura sta a monte di scelte del genere?